5° giorno - 10 agosto 2005 - Bivacco Barenghi - Tête de la Frema - Pointe du Fond de Chambeyron – Passo di Terre Nere - Tête de l'Homme - Monte Ciaslaras - Colle Maurin - Colle de Roux - Tête de Cialancion - Monte di Chiabriera - Col di Chiabriera - Monte Maniglia – Bassa di Terrarossa – La Colletta – Rifugio Carmagnola | La notte a sentire urlare il vento sulle lamiere del bivacco, a cercar di capire se quelle folate avrebbero ripulito il cielo dai nuvoloni che già avevamo notato la sera, oppure, turbinando sul Brec de Chambeyron, sarebbero state cariche di pioggia per il nuovo giorno. Per la verità avevo intrapreso l’avventura appena notato nelle previsioni meteorologiche una finestra di bel tempo di 4 giorni, ben sapendo che in alta montagna è ben difficile che le buone condizioni si mantengano a lungo, soprattutto in piena estate: fino a quel momento era filato alla perfezioni, quindi eravamo ben disposti a pagare pegno negli ultimi giorni, chiedendo solamente ancora una tregua di mezza giornata. In effetti, aprendo la porta del bivacco, constatiamo che siamo immersi in un fitto nebbione, non riusciamo nemmeno a vedere la cresta del Brec che tanto ci aveva entusiasmato il giorno prima e il primo nostro commento è stato: “Se ieri mattina fosse stato così, saremmo stati imprigionati lassù sul Buc de Nubiera al bivacco Montaldo e, oltre a dover abbandonare l’impresa, avremmo rischiato non poco nel scendere a valle!”.
Precipitosamente ci prepariamo ed alle 6.30 siamo già fuori del bivacco: in cuor nostro imploriamo ancora qualche ora di tregua, perché ben sappiamo che la cresta dalla Tête de la Frema alla Tête de l’Homme è tutt’altro che banale. Quasi di corsa verso il Col de Gippiera e in poco più di mezz’ora siamo sulla Tête de la Frema (3142m), tra folate di vento ed immersi in un fitto nebbione. A questo punto non abbiamo dubbi, dobbiamo procedere il più in fretta possibile, è indispensabile uscire dalle difficoltà nel minor tempo possibile! Avevo percorso quel tratto di cresta che dalla vetta conduce al Passo di Terre Nere due settimane prima, ma per la verità non mi entusiasmava l’idea di percorrere il lungo cengione di terra dura sospeso sul vallone dell’Infernetto in discesa e sotto la pioggia….. Comunico a Gianni che dobbiamo procedere per cresta, tra qualche difficoltà in più ma con minori pericoli causati da un eventuale temporale: infatti ci leghiamo subito e, assicurato dal fidato amico, inizio la lunga traversata, scavalcando spuntoni e passando in continuo da un versante all’altro. Con qualche passo su roccia umida non proprio rassicurante, ben presto siamo sulla cima della Pointe du Fond de Chambeyron (3130m) e realizzo che siamo al quindicesimo tremila (il secondo della giornata), ma ne mancano ancora ben nove da salire entro il giorno successivo…. | | Sappiamo bene che ora possiamo uscire dalle difficoltà unicamente continuando, perché il tornare indietro sarebbe troppo pericoloso e, sospinti da nuovo entusiasmo, tra sporgenze salti e canalini raggiungiamo il Passo Terre Nere (m.3048). Ora potremmo davvero ritirarci ma non è nel nostro spirito abbandonare alla minima difficoltà: quella cresta che risale alla Tête de l’Homme mi è familiare e, ringraziando di non trovarci invece su quella che il giorno precedente ci aveva condotto dal Buc de Nubiera al Brec de Chambeyron, con rinnovato vigore riprendiamo la salita. Raggiunta la vetta della Tête de l'Homme (3204m), il tempo concede una tregua, sembra aprirsi il cielo e vediamo il sole pallido del mattino ma siamo felici: è l’unica cosa che avevamo chiesto! Il tempo di qualche foto e via ancora per la cresta…. Come fin dal primo giorno, sempre sul filo, un piede in Francia e l’altro in Italia, continuiamo quella galoppata che ci sembra sempre più logica e mi meraviglio di non averci pensato prima (almeno nei sogni), mi stupisco di non essere a conoscenza che nessun altro l’abbia mai realizzata…. Abbiamo un importantissimo appuntamento con il carissimo amico Sergio Sciolla: è lui che ci deve consegnare i sacchi a pelo per la notte (al Carmagnola so che hanno rubato le coperte), è lui che ci deve portare i viveri e, soprattutto, l’acqua che non troveremo più fino alla fine. Non so dove sarà l’incontro perché gli accordi della settimana prima possono essere saltati, ma conosco la sua assoluta affidabilità. Infatti al Colle Ciaslaras è lì ad aspettarci, quasi sorpreso che al quinto giorno e dopo 16 tremila siamo ancora esattamente in tabella di marcia… In un attimo tutti e tre siamo sulla punta del Monte Ciaslaras (3002m): la felicità di avere vicino un volto amico, la possibilità di raccontare a qualcuno le nostre emozioni, la certezza che anche l’ultimo rifornimento sia andato a buon fine! Giù di corsa per la pietraia ed, oltre il Colle Maurin, ancora il Colle de Roux, per riprendere a salire lungo faticose pietraie. Piuttosto stanchi raggiungiamo la Tête de Cialancion (3014m): osserviamo la lunga cresta percorsa nel mattino, ma ancora lontanissimo ci appare il Maniglia ed ancora molto più in là è il nostro rifugio per la notte…. Non ci resta che continuare: discesa ad un colletto e per immensi massi la risalita al Monte di Chiabriera (m.2964), un’altra vetta che, pur dovendola scalare, non avevamo considerato nel computo totale, poiché non raggiunge i fatidici Tremila. Ormai siamo abituati a questi scavalcamenti, a questo viaggiar per cresta: ripida calata sul Col di Chiabriera e affannosa ricerca del passaggio per raggiungere il Maniglia. Il tempo stringe, la tregua sta per scadere, qualche goccia già ci sferza il viso: il superamento dell’ultima vera difficoltà dipende esclusivamente dalla nostra velocità e nell’individuare immediatamente quello che sappiamo essere l’unico accesso per il Maniglia. Confabuliamo un attimo e la decisione è presa: un colatoio sulla sinistra, leggermente in terra francese, tra enormi massi accatastati sembra offrire le minori difficoltà… Parto deciso in aderenza lungo la roccia lisciata dallo scorrere dell’acqua, guadagno ben presto un terrazzino, ma sono bloccato: un salto verticale di qualche metro sbarra la strada. So che devo passare subito, le prime gocce stanno rendendo pericolosissima la parete… Abbandono lo zaino e quasi di forza mi alzo oltre lo strapiombo, dove dovrei esser fuori dalle difficoltà ma devo aiutare i compagni! Con la corda che avevo gettato oltre il muro, recupero lo zaino e aiuto Gianni a salire; Sergio aggancia il suo zaino e, quando inizio il recupero, rimango esterrefatto dal suo peso! Saranno stati 20 chili, tra cui 7-8 solo di acqua, i due sacchi a pelo e i viveri per finire la traversata…. | | Oltre il colatoio, la parete si addolcisce, la roccia lascia il posto a magri pascoli: sembra fatta ma, girandomi indietro, vedo la lunghissima cresta percorsa avvolta completamente nella tempesta, immensi nuvoloni carichi di pioggia e vento sbattono le rocce che delicatamente in mattinata avevamo calcato. Improvvisa una bufera mi avvolge e pungente una raffica di tempesta mi scuote: siamo nel pieno di una tormenta estiva e in pochi secondi il terreno diventa bianco, ricoperto da quasi 10 centimetri di grandine. Anche se sommariamente cerchiamo di coprirci, ma, ormai inzuppati dalla testa ai piedi, non ci resta che continuare. Siamo comunque felici perché ci rendiamo immediatamente conto che, se quel temporale fosse scoppiato dieci minuti prima, avremmo dovuto abbandonare la traversata, in quanto sarebbe stato impensabile affrontare quel levigato colatoio sotto la pioggia. Lungo il crinale raggiungiamo la vetta del Monte Maniglia (3177m), il sesto ed ultimo tremila della giornata: il tempo per scambiarci uno sguardo e via…. in discesa quasi di corsa. Scendiamo per un tratto nel vallone dell’Autaret in Valle Varaita ed ancora l’ennesima, l’ultima salita della giornata: ormai Sergio, dopo aver cercato di portare il più in là possibile il rifornimento per risparmiarci, sta per tornare a casa, lui a destra per il Colle Bellino, noi dritto per il Rifugio Carmagnola. Un saluto, un grazie di cuore e, fradici come usciti dalla doccia, infreddoliti dalla gelida brezza serale affrontiamo l’ultimo sforzo con la serenità di avercela fatta, ma con l’enorme incognita di come passeremo la notte in quello che sappiamo essere il più spartano tra i rifugi. Ma le belle sorprese non si fanno attendere: inaspettatamente, non lontanissimo dal rifugio, troviamo una sorgente che non conoscevo e possiamo fare un’ulteriore provvista d’acqua, garantendoci un’abbondante e sospiratissima minestra per la sera. Oltre la Colletta, tra qualche raggio di sole che fa capolino ma inzuppati dalla testa ai piedi, raggiungiamo il Carmagnola. In una visita precedente per accertarne le condizioni, ero rimasto molto deluso: l’abbandono in cui versava, la sporcizia che regnava, la mancanza di coperte e di suppellettili l’avevano reso nella mia mente simile ad una topaia. L’idea di passarci una notte non m’entusiasmava, ma ormai era l’ultima notte e quello sarebbe stato il nostro albergo…. Gli ultimi passi, stanchissimo e senza un brandello di pelle asciutta, mi riportano alla mente la considerazione che avevo fatto in quel sopralluogo: è vero, sarà una topaia, ma è l’unico rifugio dotato di una stufa!! Mai come in questo giorno è indispensabile poter asciugare gli indumenti fradici, mai come stasera abbiamo bisogno di qualcosa di caldo: ebbene, siamo capitati il giorno giusto nel posto giusto! Davvero credo che sia l’unico rifugio della zona con una stufa e non oso immaginare come avremmo potuto passare la notte senza asciugarci, senza poterci scaldare e sfamare con cibi caldi……. Grazie, CAI di Carmagnola!!! | |
Il concatenamento dei 24 TREMILA della Valle Maira Diario dell'impresa di Bruno Rosano con l'amico Gianni Rossato: 6 giorni sullo spartiacque di confine fra le vette più alte della valle!
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